Urbex: alla ricerca dei luoghi perduti

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Urbex, le origini

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Questo  malinconico epitaffio (tutti  gli  epitaffi hanno in se una vena di  malinconia) è dedicato a Philibert Aspairt, portinaio dell’ospedale di  Val-de-Grâce a Parigi, il quale, il 3 novembre 1793, ebbe l’insana idea di  addentrarsi  nelle catacombe della capitale francese non riuscendo più a uscirne.

Il suo  cadavere venne rinvenuto undici  anni  dopo in una zona sepolcrale sotto  rue Henri Barbusse e lì si  decise di  lasciare il corpo con appunto l’epitaffio: tutt’oggi questo sito è interdetto  al pubblico.

Sarà una storia vera, oppure una delle tante leggende metropolitane che si  trovano in rete?

In ogni  caso lo sfortunato Philibert (vero o falso  che sia) suo malgrado diventerà qualche secolo dopo  la sua morte uno dei personaggi del  gioco Assassin Creed Unity (2014) ma, soprattutto per quello  che ci interessa, il capostipite dei fan dediti  a quell’attvità che va sotto il nome di  Urban exploration.

La definizione di  Urban exploration (a volte abbreviata in Urbex) non è altro  che l’esplorazione di  edifici in abbandono quali, ad esempio, ex manicomi, ospedali, carceri, ville e dimore in generale.

La nascita negli  anni’90 di  questo interesse legato  alla fotografia dei  luoghi  esplorati,  si  deve al  canadese Jeff Chapman (deceduto  a Toronto nel 2005) più conosciuto  con il nickname di  Ninjalicious.

Jeff Chapman ha comunque dettato  delle regole per esercitare questa passione che si possono  sintetizzare nella frase:

Take only photographs, leave only footprints  

Assieme all’invito  di scattare solo  delle fotografie e di lasciare solo delle impronte, le altre raccomandazioni sono  quelle di muoversi in gruppo e di  vestire con indumenti  adeguati  (il tacco 12 non fa parte di un indumento  adeguato).

Inoltre è bene ricordarsi che se un edificio  è in stato  di  abbandono, lo  stesso può essere (in effetti lo è) proprietà di  qualcuno: la violazione di proprietà privata è punita dall’articolo 614 del nostro  Codice Penale.

Quel  giorno   ad Avellino…..

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Anni  addietro, cioè quando  ancora potevo  essere ancora considerata una ragazza (anche le blogger hanno il vizio  di invecchiare), mi trovavo in Irpinia per un breve giro  esplorativo  in  questa bella terra del nostro sud.

Quindi non poteva mancare da parte mia una visita al  capoluogo  di provincia e cioè Avellino.

A dire la verità trovai  questa cittadina un po’ noiosa (don’t shoot the blogger, please!)?

Sennonché venni  attratta da un enorme edificio in evidente stato  di  abbandono,  recintato e posto in pieno  centro  cittadino.

Proprio mentre stavo  sbirciando in qualche fessura della recinzione (in verità cercavo un varco per entrare) si  affacciò un gentilissimo custode che, vedendomi  armata di  macchina fotografica, mi invitò a entrare (anche in questo  caso  la proverbiale gentilezza degli  abitanti  del sud Italia non veniva smentita).

Il custode mi disse che quello  era l’ex – carcere Borbonico, attivo  fino  al 1980, anno  del  tremendo  terremoto  che colpì l’Irpinia.

Quello  che spinge gli  esploratori  urbani a entrare nei luoghi  abbandonati è quell’aura di mistero che questi  luoghi  emanano: quel  giorno, però, entrando in quelle celle abbandonate, ho sentito emanare da quelle pareti  solo dolore, angoscia e rabbia, affrettandomi nello  scattare alcune fotografie per poter uscire il più in fretta possibile all’aria aperta.

Oggi il Carcere Borbonico  di  Avellino è sede di un polo museale inaugurato  nel 2011 in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.

Al  suo interno è ospitata la Pinacoteca Irpina, Il Museo  del  Risorgimento e l’Archivio  di  Stato, inoltre alcuni  spazi del  complesso  sono adibiti per accogliere mostre, concerti  ed eventi  teatrali.

Base 46: il mistero  del monte Settepani 

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In questo  caso non si  dovrebbe parlare a priori di  Urban exploration in quanto l’ex  base NATO 46 non si  trova in ambiente cittadino, ma bensì su  di una montagna: il monte Settepani (1.386 mslm) a poca distanza dal  Colle del  Melogno, quest’ultimo punto  di passaggio  dell’Alta Via dei  Monti  Liguri.

L’area rientra nel  sistema SIC (Sito  di importanza comunitaria) Monte Carmo – Monte Settepani.

Oggi, a guardia della vecchia base, vi  sono  le torri  delle pale eoliche e la visita è quindi possibile non essendo presente nessun avviso  di  off-limits.

Ben  diversa era la situazione quando  negli  anni ’60 (siamo  nel pieno  della cosiddetta Guerra Fredda) venne qui realizzata una centrale di trasmissione dati dell’esercito  statunitense presidiato dal 56° Signal  Company.

In seguito, con l’avvento  dei  sistemi  satellitari, questo  tipo  di  centrali  divennero  rapidamente obsolete e quindi  dismesse: questo è ciò che accadde anche per la Base 46, chiusa nel 1992 e diventata palestra per i  graffitari.

Il mistero  che non c’é

Per costruire una base militare occorrono uomini  e mezzi, se poi, come ovvio, vige il divieto  assoluto  di  accedervi,  ecco  che avanza  la tesi che vi  sia un segreto da difendere.

La scoperta casuale di  tunnel  sotterranei  alla base, influì  a gonfiare la tesi  che in quelle cavità  venissero   custodite delle testate nucleari (senza tener conto che far passare inosservato un missile per le strade di montagna è un impresa alquanto  difficile).

Il mistero (presunto  tale) si ingigantisce quando all’interno di  Voyager – il programma condotto  da Sergio Giacobbo e che faceva molta presa sugli  spettatori inclini a credere a ogni  genere di avvenimenti legati  al paranormale, dal mostro  di  Loch Ness fino  all’Area 51 – viene intervistata la moglie del comandante della Base 46,  la quale,  in un certo  modo, avvalora la tesi  che la montagna ligure poteva essere un’arsenale atomico.

A derimere la questione ci  penseranno gli  speleologi del  Gruppo  Speleologico  Savonese i quali, con successive esplorazioni  dei  tunnel, hanno  chiarito  ogni  dubbio, come si evince leggendo il  documento che troverete nel  box seguente (per l’originale vi  rimando  a questa pagina).

gruppospeleosavonese.it-Progetto Settepani

Lesegno: il Petalo verde del  Landandè

Milano: l’amaro  è storia passata

Alla prossima! Ciao, ciao…..♥♥

 

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