<< A cosa serve aver sviluppato uno scienza capace di formulare previsioni se, alla fine, tutto quello che siamo disposti a fare è perdere tempo e aspettare che quelle previsioni si avverino?>>.
F. Sherwood Rowland – premio Nobel per la chimica per i suoi studi sull’ozono
Due sere fa, rientrando a casa di ritorno dal lavoro, guardando un albero sradicato dal vento che aveva abbattuto un muro, per poi fermarsi sulla facciata di una casa, ho pensato seriamente la fine del mondo non era certo in quella serata ma, comunque, c’era andato vicino.
Si, perché pur essendo abituata alle alluvioni causate dalle piogge torrenziali (Genova purtroppo ne sa qualcosa) il temporale misto a raffiche di vento che superavano i settanta chilometri all’ora (non sono stata io a misurarne l’intensità) era un’esperienza nuova di cui ne avrei fatto volentieri a meno.
Eppure, leggendo in seguito ciò che gli esperti hanno detto, cioè che quelle raffiche di vento erano dovute ad una differenza di pressione atmosferica e che tra ottobre e novembre piove molto (ma va) qualche dubbio sulla loro dichiarazione di normalità dei fenomeni atmosferici mi è venuta.
Altri studiosi, al contrario, dicono che la tendenza futura è quella di un aumento dei fenomeni estremi ma, per parlare di cambiamento climatico, occorrono una raccolta di dati sistematica (le rilevazioni storiche sono disponibili solo da un secolo) e studi sempre più specifici.
Si, siamo d’accordo, ma nel frattempo cosa possiamo fare?
Tanto più che personaggi come Donald (Duck) Trump nega l’esistenza di un cambiamento climatico relegando tutto a fake news (e di questo lui se ne intende visto che è stato eletto grazie all’aiuto appunto dele fake news), oppure del fascista JairBolsonaro, attuale presidente del Brasile, che ha già detto di voler disboscare parte dell’Amazonia (il polmone verde della Terra, non dimentichiamolo) per aumentare i pascoli e per il commercio del legname.
Insomma se una coscienza, collettiva e mondiale, non darà battaglia all’inquinamento e allo sfruttamento delle risorse, il futuro del nostro pianeta non sarà roseo.
Quando parlo di coscienza ecologica certo non mi riferisco ai figli dei fiori ormai reperto di sociologia archeologica, quanto piuttosto al modello proposto dal partito dei Verdi in Germania che nelle ultime elezioni in Baviera e in Assia hanno avuto un eccellente risultato anche per il pragmatismo e senza posizioni estreme del loro programma.
Questo, però, rimanda alla domanda di prima: nel frattempo cosa possiamo fare?
Non lo so, certo non perdere la speranza come, ad esempio, dice lo scienziato e scrittore australiano Tim Flannery nel suo libro Una speranza nell’aria – come affrontare i cambiamenti climatici.