Non è tutto oro quello che luccica (avvertenze per l’uso)
Avrei voluto descrivere volentieri un percorso escursionistico che rivelasse il fascino della Riserva naturale della Bessa, purtroppo mi dovrò limitare a dare solo brevi accenni su quella che doveva essere un’escursione diventata poi una semplice passeggiata.
Nulla toglie, però, che il sito della Bessa merita una più ampia conoscenza e quanto scriverò vuole appunto invitarvi alla sua scoperta (sempre che non ci siate già stati e che vogliate condividere con me la vostra personale esperienza attraverso il form a fine articolo).
La Bessa propriamente detta è un altopiano compreso nel Parco Regionale della Bessa e posto tra i torrenti Olobbia ed Elvo.
Dal punto di vista geologico si tratta di un altopiano alluvionale in parte morenico cioè dovuta alle alluvioni fluvio – glaciali dell’era quaternaria risalenti, più o meno, a due milioni di anni fa (nello schema seguente la visualizzazione delle ere geologiche tratto dal sito stratigraphy.org)
I massi erratici e i ciottoli di ogni dimensione, che anticamente sono stati trasportati a seguito del grande ghiacciaio Balteo proveniente dalla Val d’Aosta, sono rocce presenti nelle Alpi occidentali (granito, serpentiniti, gneiss e altri ancora).
Per avere un quadro più completo rispetto alla succinta descrizione che ho appena dato (non sono una scienziata) vi rimando al seguente corposo documento realizzato dal professor Franco Gianotti del Dipartimento delle Scienze della Terra dell’Università di Torino.
Una volta arrivati presso il Centro Visita di Vermogno di Zubiena (apertura stagionale, INFO Ente Parco Tel. 011.4320011) l’idea era quello di seguire il percorso delle incisioni rupestri, ma già dall’inizio un cartello avvisava che il sentiero non era agibile per lavori di ripristino: ovviamente, non essendoci nessun divieto esplicito, la decisione era che, in un modo o nell’altro, almeno una sbirciatina al percorso bisognava pur darla.
L’area picnic adiacente al Centro visite
A un centinaio di metri dall’area picnic si arriva a un bivio dove, proseguendo sulla nostra sinistra, inizia il percorso del sentiero delle incisioni rupestri contraddistinto dal segnavia B5
La visualizzazione delle incisioni è molto difficile ed è per questo che l’Ente parco consiglia di farsi accompagnare da una guida.
Il Masso del campionario
In verità, a parte le incisioni poste su di un masso e cioè quello denominato Masso del campionario, non ho avuto modo di osservare altre incisioni (neanche molte sul masso, a dire la verità): per ovviare al possibile interesse di chi è appassionato al fenomeno delle incisioni rupestri presenti a La Bessa, l’invito è quello di leggere quanto riportato nel pdf seguente tratto dal sito Bessa.it.
Incisioni rupestri a parte, quello che contraddistingue il paesaggio della riserva naturale è l’accumulo di ciottoli a testimonianza dello sfruttamento minerario aurifero da parte dei Romani
La storia dello sfruttamento aurifero della Bessa
Un giacimento aurifero di origine alluvionale come quello della Bessa richiede un grande quantitativo d’acqua in quanto il deposito, contenente il metallo sotto forma di pagliuzze o piccole petite, doveva essere sottoposto a un lavaggio.
La fase preliminare consisteva in uno scavo del sedimento costituito da sabbia e da ciottoli di varia grandezza che, raccolti e accatastati ai lati della zona di estrazione, formano i grandi cumuli tutt’oggi visibili. Nel pdf seguente una più completa trattazione dell’argomento.
Vorrei essere la versione femminile di Robert Macfarlane e di saltare da un paese all’altro, da un sentiero all’altro, per poi trasformare la propria esperienza in mirabolanti parole e quindi in un libro di successo come Le antiche vie (anteprima alla fine dell’articolo), ma da semplice blogger posso solo offrire suggerimenti per camminare tra la natura.
In questo caso l’itinerario ad anello che parte dal paese di Roviasca, in provincia di Savona, è anche l’invito a esplorare ciò che è dietro l’angolo di casa nostra, che per me, abitante a Genova, la meta in questione non è sideralmente distante (cosa ben diversa per coloro che abitano a Sidney o New York).
Come riportano le parole di questo pannello l’itinerario è anche un modo per ricordare il sacrificio di chi ha combattuto contro le barbarie di ieri a favore della libertà di cui godiamo oggi: perché ricordare è fare rivivere
Roviasca è una frazione di Quiliano in ValleTrexenda a pochi chilometri da Savona, l’itinerario è riconosciuto come sentiero della memoria partigiana.
Arrivati con il proprio mezzo a Roviasca cerchiamo un parcheggio (cosa non facile visto l’esiguità dei posti auto).
Il nostro itinerario inizia da via Bruno Ferro (strada dedicata al bambino di dieci anni ucciso dai nazifascisti), la strada in salita ci porterà a superare un archivolto e, seguendo il segnavia triangolo rosso, proseguiremo passando sotto un piccolo ponte stradale.
Arrivati in via Villanova si abbandona il segnavia triangolo rosso (lo seguiremo nuovamente nella parte terminale dell’anello) per prendere quello indicato da una croce rossa inoltrandoci tra terrazze coltivate e il panorama che si apre sulla Valle Trexenda con la Rocca dei Corvi che domina il tutto, visibile sulla nostra sinistra.
Mantenendoci sulla sinistra si arriverà al Teccio di Tersè (408 metri) un vecchio essiccatoio usato come rifugio dai partigiani.
Il Teccio del Tersè
Nel novembre del 1943 il Teccio del Tersè venne utilizzato come rifugio per i partigiani e da Gino De Marco il cui nome di battaglia era Ernesto.
A lui, ben presto, si unirono altri volontari combattenti formando un nucleo il cui compito era quello di raccogliere armi in azioni di guerriglia, viveri e informazioni da passare ai partigiani della Val Bormida.
Il gruppo del Tersè venne tradito da un contadino che li denunciò alla milizia fascista: il 19 dicembre 1943 ben cento uomini furono impiegati per catturare il piccolo nucleo partigiano (composto da soli otto uomini) riuscendo a fare prigioniero solo uno di loro e cioè Francesco Calcagno che solo dopo pochi giorni di prigionia venne fucilato nel Forte della Madonna degli Angeli a Savona.
Alla fine della guerra il Tercio del Tersè venne trasformato in un piccolo rifugio a lui dedicato.
Proseguendo il sentiero inizia di nuovo a salire verso il Bricco di Quiliano con alcuni ruderi di essiccatoi a testimoniare un passato di lavoro e fatica.
I ruderi della Casa del Bricco
Al termine della salita si raggiunge la Casa del Bricco o Cà da Suntin-a abitata fino all’inzio degli anni ’70: qui bisogna far attenzione nel non seguire il segnavia croce rossa che si inerpica sulla destra del rudere fino a giungere nella boscaglia, ma proseguire sulla nostra sinistra dove ritroveremo il segnavia che ci indicherà la direzione giusta.
Colle del Termine
Ora il sentiero diventa un’ampia sterrata che porta fino alla Colla del Termine crocevia sullo spartiacque principale e dove incontreremo l’Alta Via dei Monti Liguripurtroppo, da come potete vedere nell’immagine precedente, il panorama offerto dal Colle del Termine è piuttosto desolante.
Seguiamo l’ampia sterrata contrassegnata dall’Alta Via fino a giungere a un bivio sulla nostra destra dove si seguirà il segnavia tre pallini rossi con il sentiero che si innalza in un bosco (a tratti alberi caduti sul sentiero ostacolano il passaggio).
Il fortilizio del Colle del Baraccone
Al termine di questo tratto dell’anello ritroveremo l’Alta Via dei Monti Liguri seguendo l’ampia sterrata dove in breve si arriverà al Colle del Baraccone, ma prima merita una visita il fortilizio del Baraccone edificato alla fine del ‘600 sulla dorsale tra la Valle Trexenda e quella del Bormida.
Più in là abbandoneremo ancora una volta il segnavia dell’Alta Via per seguire il triangolo rosso in direzione di Roviasca: arrivati a un grosso prato recintato proseguiamo sempre sulla nostra destra (attenti perché il segnavia in questo tratto non è molto visibile).
Facendo attenzione ai successivi bivi arriveremo al tratto iniziale del percorso passando accanto alla parrocchiale di Roviasca e quindi al termine di un anello molto suggestivo.
⌈ Gli uomini sono animali, e come tutti gli animali anche noi quando ci spostiamo lasciamo impronte: segni di passaggio impressi nella neve, nella sabbia, nel fango, nell’erba, nella rugiada, nella terra, nel muschio.
È facile tuttavia dimenticare questa nostra predisposizione naturale, dal momento che oggi i nostri viaggi si svolgono per lo piú sull’asfalto e sul cemento, sostanze su cui è difficile imprimere una traccia.
Molte regioni hanno ancora le loro antiche vie, che collegano luogo a luogo, che salgono ai valichi o aggirano i monti, che portano alla chiesa o alla cappella, al fiume o al mare. ⌋
L’tinerario escursionistico che vado a proporvi in quest’articolo, oltre che essere una salutare immersione nell’ambiente naturale del Finalese, è anche l’occasione per visitare manufatti archeologici quali i ponti romani e quelli ancora più antichi come l’Arma delle Manie dove la presenza umana è testimoniata da reperti risalenti a 70.000 anni fa e assegnate alla cultura dell’uomo di Neanderthal.
Ci troveremo, quindi, a percorrere una parte della via Julia Augusta passando sopra i ponti romani che storicamente caratterizzano il percorso.
Via Julia Augusta
La via Julia Augusta fu realizzata nel 13 a.C. dall’imperatore Augusto per assicurare i collegamenti con la Gallia.
Nel II secolo d.C. l’imperatore Adriano promosse importanti lavori di ristrutturazione della strada.
La via Julia Augusta partiva, seguendo l’attestazione delle pietre miliari, da Piacenza, collegandosi in questo punto con la via Emilia, proseguendo fino a Tortona e Acqui Terme, per poi giungere a Vado Sabatia (Vado Ligure) attraverso la Val Bormida. da qui il percorso si addentrava nell’entroterra fino alla Colla di Magnone, per poi riprendere il tracciato verso il litorale attraversando la Val Ponci e proseguendo verso il Ponente.
NOTA: lungo il percorso non vi sono fonti per l’acqua.
Il percorso inizia dall’altopiano delle Manie raggiungibile da Noli seguendo la SP 54 quindi, una volta arrivati all’altezza del ristorante Ferrin possiamo parcheggiare nella piazzola di fronte a esso.
Dal parcheggio seguiremo il cartello che indica la direzione verso la chiesa di san Giacomo e l’Osteria del Bosco.
Arrivati presso L’Arma delle Manie è consigliabile una piccola sosta per visitare la grotta posta sotto il ristorante.
Come ho scritto in precedenza, gli scavi archeologici condotti dall’inizio degli anni ’60 hanno evidenziato come la grotta, una delle più grandi presenti nel Finalese, venne abitata sin dalla preistoria.
Con il passare del tempo (molto tempo) essa venne adibita a stalla e frantoio e i reperti di allora sono tutt’ora visibili.
Dopodiché, ritornando verso la chiesa di San Giacomo, seguendo il segnavia con due quadrati rossi, scendiamo nella boscosa Val Ponci arrivando al primo dei ponti romani e cioè quello chiamato Ponte Muto o delle Voze, caratterizzato da una muratura a secco, con nucleo di calcestruzzo rivestito da piccoli blocchetti di Pietra di Finale.
Il Ponte Muto o delle Voze
Continuando nel nostro cammino incontreremo quelli che sono i resti del secondo ponte e cioè il Ponte Sordo (non chiedetemi del perché di questi nomi), del quale è oggi visibile solo una porzione della rampa di accesso, caratterizzato da una tecnica muraria e di una monumentalità che ne fanno ipotizzare l’aspetto analogo al vicino Ponte delle Fate.
Da notare che il paramento è quello del tipo petit appareiltipico dell’architettura gallo – ligure.
Il Ponte Sordo……i resti
Arriviamo, quindi, a un bivio sulla nostra destra, che per il momento tralasceremo, per inoltrarci verso il Ponte delle Fate passando accanto a un vigneto e all’agriturismo.
Verso il Ponte delle Fate attraversando i vigneti
Il Ponte delle Fate è costituito da un’unica arcata a tutto sesto che poggia su grossi blocchi squadrati di Pietra di Finale, i parapetti e i muri che delimitano le rampe di accesso del ponte sono rivestite con piccoli cubetti squadrati di pietra disposti in filari regolari secondo la tecnica petit appareil.
Il Ponte delle Fate
Siamo arrivati alla fine del primo tratto del sentiero nei pressi di un parcheggio sui generis di fronte alla mole della Rocca del Corno meta di arrampicata molto frequentata (è la prima via di arrampicata nel Finalese) di cui il lato ovest è interdetto in quanto area di nidificazione dei rapaci.
Dal parcheggio un piccolo sentiero porta alla base della Rocca del Corno (sentiero che può presentare delle difficoltà e quindi consigliato a escursionisti esperti)
Sullo sfondo la Rocca del Corno
Ritorniamo sui nostri passi per prendere, dopo circa un chilometro, il sentiero sulla nostra sinistra contraddistinto dal segnavia con cerchio rosso pieno che ci porterà in breve a Cà du Puncin e al Ponte dell’Acqua.
Il sentiero verso Cà du Puncin e il Ponte dell’Acqua
Il nome di Ponte dell’Acqua deriva da un piccolo edificio appartenente all’acquedotto costruito utilizzando blocchi di pietra in parte provenienti dal ponte stesso.
Il Ponte dell’Acqua
Cà du Puncin conserva una piccola lapide di marmo in ricordo di Giacomo Cambiaso morto all’età di vent’anni nella lotta partigiana contro i nazifascisti durante la Seconda guerra mondiale.
NOTA: sulla sinistra rispetto a Cà du Puncin parte un sentiero che ricalca un percorso per ipovedenti (ormai in disuso) in direzione Rocca degli Uccelli
La piccola chiesa sulla Colla di Magnone (315 metri)
Risaliamo ancora per la Val Ponci trovandoci infine al cospetto dell’ultimo ponte romano e cioè il Ponte di Magnone di cui resta ben poco: una porzione del muro di contenimento della strada e una parte dell’arcata.
Da questo punto si arriverà alla Colla di Magnone con una piccola chiesa e una panca con tavolaccio per una sosta (foto di repertorio senza tavolaccio)
Dopodiché proseguiremo in salita sull’asfalto seguendo il segnavia con un cerchio rosso barrato che diventerà una sterrata a un bivio sulla sinistra.
Arrivati nei pressi del Bric dei Monti, incontreremo un successivo bivio, questa volta sulla nostra destra che, scendendo lungo un’ampia (e monotona) sterrata, ci condurrà in una zona prativa nei pressi della Grotta dell’Andrassa (tabellone).
Successivamente, dopo una piccola salita, si arriva in una zona recintata: una deviazione a destra condurrà sulla provinciale per il pianoro delle Manie.
Seguiremo quest’ultima proseguendo sempre a destra e circa dopo un chilometro arriveremo al nostro punto di partenza.
la meta è sempre fittizia, anche la meta raggiunta
…..anzi soprattutto questa
Arthur Schnitzler ⌋
Da Giustenice a Giustenice, passando per Pian delle Bosse
Arthur Schnitzler era uno scrittore, mentre io sono una modesta blogger che attinge alla frasi di autrici e autori a mo’ di introduzione per i propri articoli.
Detto questo vi assicuro sul fatto che l’anello escursionistico che vado a proporvi ha in sè una direzione e, soprattutto, una meta che non è assolutamente fittizia: data la lunghezza del percorso saranno le vostre gambe a sincerarvi sulla realtà dei fatti (ovviamente a prescindere dal proprio grado di allenamento alla fatica).
Partiamo da Giustenice borgo di poco meno di mille abitanti in provincia di Savona composto da un nucleo contraddistinto dai resti del castello e la chiesa di san Michele in posizione più elevata rispetto alla chiesa di di san Lorenzo da cui partiremo.
L’itinerario
NOTA: il percorso si presta a numerose deviazioni che possono aumentare o diminuire la distanza dello stesso: ad esempio, volendo evitare i primi quattro chilometri di asfalto, si procede sulla strada in direzione Giogo di Giustenice fino ad arrivare a uno spiazzo dove parcheggiare il nostro mezzo e proseguire sulla sterrata.
A noi, che amiamo consumare le suole degli scarponcini anziché la gomma dei pneumatici, non resta che prendere la strada a monte della chiesa di San Lorenzo (indicata con il nome di Via al Carmo) e iniziare la lunga e monotona salita.
Dopodiché l’asfalto termina lasciando il posto allo sterrato (vi ricordo che in questo punto sarebbe opportuno lasciare l’automobile se non è una 4×4 o un carrarmato o similari) che da lì a poco condurrà nei pressi del B&B Cascina Porro ottimo punto di appoggio per merende, pranzi, cene e pernottamenti.
All’incirca dopo sei chilometri dalla partenza, una deviazione sulla nostra destra porta all’inizio della Cresta Mario, palestra di roccia per scalatori ( per chi è interessato ad avere qualche notizia in più consiglio questo link)
NOTA: La Cresta Mario si trova in uno dei percorsi escursionistici della rete Terre Alte: non guasterebbe qualche cartello in più, almeno all’inizio della deviazione, per indicare dove effettivamente il sentiero è diretto.
Ritornando sui nostri passi si riprende la larga sterrata che conduce al Giogo di Giustenice (da esso si può proseguire fino al Colle del Melogno: l’itinerario è descritto in un mio precedente articolo del quale troverete il link al termine)
Ben presto una deviazione sulla nostra sinistra, indicata da un pannello, ci condurrà verso Pian delle Bosse e all’omonimo rifugio.
Al Bivio Uranio (non chiedetemi perché si chiama così!) abbiamo la possibilità di accorciare il nostro percorso deviando verso Cascina Porro e, quindi, riprendere la sterrata verso il paese di Giustenice.
Proseguendo, sempre quasi in piano, il percorso diventa piacevole inserendosi nei pressi di Pian delle Bosse in un percorso naturalistico con cartelli informativi riguardanti le specie botaniche del sito.
Rifugio Pian delle Bosse
Arrivati al rifugio di Pian delle Bosse ci meritiamo una sosta magari degustando i piatti preparati dai gestori del rifugio, oppure un semplice tè o caffè.
Come si può vedere dall’immagine, Pian delle Bosse è un autentico crocevia di diversi sentieri compreso quello del monte Carmo che inizia alle spalle del rifugio (il sentiero è consigliato per escursionisti esperti).
Dopo la sosta ritorniamo sui nostri passi ripercorrendo il sentiero botanico e raggiungendo quindi il prossimo bivio: la direzione che dovremo prendere sarà quella verso la località chiamata Cabanun.
Cabanun
il cabanun, che abbiamo già visto poco prima di arrivare a Pian delle Bosse (vedi l’immagine precedente), è un particolare tipo di struttura costruita interamente in pietra senza uso della malta, questa tecnica costruttiva era tale che impediva infiltrazioni di umidità al suo interno.
Il Cabanun che incontreremo nel nostro percorso di rientro, ha nelle dimensione la sua eccezionalità: esso consentiva, infatti, ai contadini di ripararsi dalle intemperie durante la stagione della fienagione, insieme al mulo che serviva per portare il fieno fin giù dai prati di Pian delle Bosse.
Il tragitto prosegue in discesa fino al bivio del Cabanun da cui proseguiremo in direzione di Giustenice.
La chiesa di san Michele con vicino la sede comunale
NOTA: in effetti per arrivare a Giustenice impiegheremo più o meno il tempo indicato dal pannello solo che, in questo caso, si arriva alla chiesa di san Michele e da qui, per arrivare al nostro punto di partenza, dovremo ancora fare un po’ di strada provinciale: ma d’altronde siamo o no dei viandanti?
Dove attualmente sono proibite le attività outdoor tra Liguria e Piemonte
Per un soffio, prima della peste, quella suina ovviamente, ho completato questa facile escursione che da Masone arriva nella località di Pratorondanino e, quindi, ritorna al punto di partenza completando un anello.
Il giorno dopo arriva la doccia fredda di un’ordinanza governativa che per sei mesi, fino al prossimo luglio, proibisce ogni attività legata all’outdoor nelle zone riportate nella lista precedente.
Nella mia più che ventennale esperienza da escursionista ho avuto modo di sperimentare incontri con cani rinselvatichiti mordaci, cani da guardiana arrabbiati (entrambi miranti a mordere il mio posteriore), vipere, scoiattoli, marmotte, orme di orso (solo orme per mia fortuna), vacche al pascolo che scambiandomi per una loro consorella mi lappavano il viso con la loro linguona, pecore, mufloni, daini, marmotte, vipere, colubri e altri animali senza zampe, calabroni e insetti vari tra cui le odiatissime zecche: ma solo tre volte ho incrociato un cinghiale e, ognuna di queste volte, abbiamo preso strade diverse ignorandoci reciprocamente (….a dir la verità qualche palpitazione al cuore l’ho avuto considerando le dimensioni del bestione).
Se avessi comunque il desiderio di avere un tête-à-tête con un cinghiale mi basterebbe andare in piazza Manin, in pieno centro a Genova, per averne uno : qui il nostro simpatico (si fa per dire) ungulato trova dove sostenersi nei cassettoni stracolmi di spazzatura se non direttamente rifocillati da cittadini oltremodo ignari delle conseguenze del loro gesto (il cinghiale rimane un animale selvatico).
Comprendo che il provvedimento governativo è stato emanato per evitare il possibile contagio degli allevamenti di suini, cosa che comporterebbe ingenti danni economici e perdite di posti lavoro, ma sinceramente non vedo come potrei essere veicolo d’infezione (le suole dei mei scarponi) a meno che, trovandomi dinnanzi a una carcassa di cinghiale, mi mettessi a ballare sui poveri resti.
Eppure, il divieto di frequentare i boschi in queste inedite zone rosse, non riguarda solo gli amanti della vita all’aria aperta ma, soprattutto, chi lavora in questo campo: dai gestori dei rifugi alle guide ambientali, dagli agriturismo ai B&B fino alla filiera per il commercio dei prodotti locali.
Infine, considerando che la peste suina non contagia in alcun modo l’essere umano e gli altri animali, vi invito a firmare la petizione su Change.org per la revoca di tale ordinanza perché la salute passa anche attraverso una camminata nei boschi.
Da Masone a Pratorondanino e ritorno
Si parte dalla cittadina di Masone e precisamente dalla chiesa di Santa Maria in Vezzulla raggiungibile percorrendo via Romitorio.
Santa Maria in Vezzulla
Santa Maria in Vezzulla sorge alla destra del torrente Vezzulla.
Venne eretta nel XII secolo dai monaci Benedettini (ma non vi sono fonti scritte per una datazione certa). In seguito venne officiata dai monaci Regolari di Mortara in provincia di Pavia e quindi affidata alle monache Cistercensi per poi ritornare ai Benedettini.
Con il passare del tempo la chiesa, abbandonata in seguito alla crisi monastica, subì ingenti danni per le esondazioni del torrente Vezzulla.
Nel 1946 la Soprintendenza ai Monumenti della Liguria la riedificò utilizzando le fondamenta originali e recuperando le absidi.
Oggi la chiesa (conosciuta anche con il nome di Romitorio) è adibita al ricordo dei partigiani caduti nella lotta contro il nazi-fascismo (Sacrario dei Martiri del Turchino)
Sulla sinistra della chiesa inizia in salita il nostro percorso contrassegnato da un rombo giallo pieno che, dopo avere passato le pendici del monte Tacco, arriverà alla sella del Passo della Scisa a 705 metri di quota, punto d’incrocio con il sentiero che da Campo Ligure porta alla Cappelletta dell’Assunta passando anch’esso da Pratorondanino (segnavia due linee gialle parallele).
Seguendo per una buona parte la pista del metanodotto riprenderemo il sentiero sulla nostra destra arrivando a un crocevia con l’ingresso di un maneggio e del Giardino Botanico di Pratorondanino (754 m.).
il paesaggio nei pressi del Passo della Scisa
Il giardino botanico di Pratorondanino
Lo stagno all’interno del Giardino
Nel cuore dell’Appennino genovese, a otto chilometri da Masone, nel territorio comunale di Campo Ligure, si estende l’Altopiano di Pratorondanino.
Qui, a 750 metri di altitudine, si trova il Giardino Botanico Montano, ideato nel 1979 dal G.L.A.O. (Gruppo Ligure Amatori Orchidee), al quale è ancora oggi affidata la cura del Giardino e degli aspetti botanici.
Nel 1998 la Regione Liguria ha formalmente istituito l’Area protetta regionale Giardino Botanico di Pratorondanino, affidandola alla Provincia di Genova che ha mantenuto la storica gestione del G.L.A.O.
Il Giardino è caratterizzato da una collezione di piante provenienti da svariati ambienti, da quelli glaciali a quelli desertici. I diversi ambienti naturali e le differenti aree geografiche di provenienza delle oltre 400 specie presenti hanno reso necessario l’allestimento di habitat rocciosi differenziati: calcareo, siliceo e serpentinoso. Uno stagno e un laghetto ospitano specie tipiche delle stazioni riparie e piante insettivore, insieme a interessanti specie di anfibi e rettili.
Nell’arboreto si possono individuare una trentina di specie ad alto fusto, dalle conifere alle latifoglie. Spicca in particolare il bell’esemplare di sequoia gigante (Sequoiadendron giganteum). Il roseto appare in tutta la sua suggestione a cavallo fra giugno e luglio. Il sottobosco ospita licopodi e felci, mentre là dove il fogliame si fa più rado prosperano piante erbacee quali il ranuncolo, il ciclamino, il mughetto.
Tra i fiori del Giardino vi sono alcune piante preziose in quanto a rischio di estinzione: la regina delle Alpi (Eryngium alpinum), il giglio a fiocco (Lilium pomponium) e la wulfenia (Wulfenia carinthiaca). Non mancano poi le specie esclusive – a livello mondiale – della flora ligure: la viola di Bertoloni (Viola bertolonii) e la peverina di Voltri (Cerastium utriense), che spiccano fra numerosi altri endemismi e specie montane protette.
Significativa è la presenza della pianella della Madonna (Cypripedium calceolus) dalla copiosa fioritura, della stella alpina (Leontopodium alpinum) e di numerose sassifraghe. La collezione di Sempervivum annovera circa 40 specie provenienti da tutti i Paesi europei.
Un discorso a parte merita infine la sezione delle orchidee, che riguarda non tanto le specie vistose e scenografiche che si comprano dal fioraio quanto quelle che crescono spontaneamente e meritano particolare protezione.
(Testo tratto dalla Guida pratica del Giardino di Pratorondanino ed. Provincia di Genova)
Informazioni per l’ingresso (gratuito) e orari di apertura in questa pagina
I simpatici ospiti dell’adiacente maneggio, gioia per i più piccoli (ma non solo)
Il Giardino botanico in questo periodo è chiuso (consultare il link per le informazioni riguardante l’apertura): non resta che ritornare a Masone oppure, se si ha voglia di prolungare l’escursione, si può proseguire in direzione verso Piani di Praglia o il più vicino monte Poggio.
Per il ritorno la scelta cade sulla strada asfaltata (con traffico automobilistico molto scarso): si allunga, questo è vero, ma se si ha desiderio di camminare anche calcare un po’ di asfalto non è un’idea da scartare (comunque anche in questo caso alcune deviazioni ci riportano sul sentiero verso Masone).
per avventurarsi fisicamente nella nudità del mondo
David LeBreton⌋
Due parole prima di iniziare
Nelle vesti di camminatrice l’antropologo e sociologo francese David Le Breton mi vedrebbe come persona singolare?
E’ una domanda che dovrei rivolgere direttamente all’autore di Camminare: Elogio dei sentieri e della lentezza (anteprima alla fine dell’articolo nella sezione Parole in anteprima) ma che rivolgo anche a voi: vi considerate, dunque, persone singolari perché appassionate(i) di escursionismo, cammini o trekking? E fino a che punto lo siete?
Vi ricordo che, desiderandolo, potete rispondermi direttamente dalla home del sito attraverso il modulo messaggi.
L’itinerario: da Finalborgo al Bric della Croce
L’anello escursionistico che vado a descrivervi non è solo piacevole per gli spunti paesaggistici e storici che incontreremo lungo il percorso, ma lo è anche perché il fulcro del percorso è Finalborgo, cioè quello che io considero essere uno tra i borghi più belli della Liguria di ponente, meta di sportivi appassionati di arrampicata ed escursionismo, nonchè di mountain -bike: la presenza di vari negozi di articoli sportivi specializzati nell’outdoor all’interno delle mura del borgo ne sono la testimonianza.
A questo si aggiungiungono diverse opportunità per l’ospitalità offerte da B&B e agriturismi, nonchè una scelta più che buona per la ristorazione.
Finalborgo
Panorama di Finalborgo dal forte San Giovanni
Finalborgo è uno dei tre borghi che compongono Finale Ligure, gli altri due sono Finale Marina e Finalpia.
Finalborgo è situato nell’entroterra a pochi chilometri dal mare, chiusa tra le mura di cinta si accede a esso attraverso Porta Reale, Porta Romana, Porta Testa e Porta Mezzaluna, la quale è posta sotto il forte San Giovanni che incontreremo subito dopo l’inizio del nostro percorso.
La nostra visita turistica non deve assolutamente escludere quella al convento di Santa Caterina (è la vostra Caterina che ve lo consiglia)
Si parte dalla Piazza del Tribunale seguendo il segnavia con stilizzata la sigla VP (Via del Purchin) quindi, procedendo sulla strada Beretta (o Strada della Regina), passeremo Porta Mezzaluna poco al di sotto del forte San Giovanni.
Forte San Giovanni e la Strada Regina
La Porta della Mezzaluna
Costruito dagli spagnoli nel Seicento su di un precedente fortilizio, Forte San Giovanni si erge su Finalborgo a cavallo tra la Valle del Pora e quella dell’Aquila.
Il forte venne abbandonato dagli spagnoli nel 1700 e successivamente parzialmente demolito da Genova nel 1715.
Nel 1882 divenne sede di un carcere per poi essere definitivamente dismesso all’inizio del XX secolo.
Nel 1984 iniziarono i lavori di restauro che portarono Forte San Giovanni alle condizioni originarie.
Il 20 agosto del 1666 Margherita Teresa, figlia di Filippo IV di Spagna, dopo essere sbarcata dalla nave Reale spagnola a Final Marina, intraprese il suo viaggio per andare in sposa all’imperatore d’Austria Leopoldo I d’Asburgo, da qui il nome di Strada della Regina.
Tra il 1674 e 1678 l’ingeniere militare Gaspare Berretta apportò notevoli interventi di miglioria alla strada.
Per la visita al Forte san Giovanni vi rimando al sito del MUDIF (Museo Diffuso del Finale).
Proseguendo lasciamo alla nostra sinistra la deviazione che porta alla visita di Castel Gavone (segnavia due bolli rossi) eretto sul colle del Becchignolo alla fine del XII secolo dalla famiglia Del Carretto signori di Finale.
Ci dirigiamo a sinistra verso Perti sulla strada asfaltata per arrivare in breve tempo a una mulattiera a destra nei pressi di alcune case, qui il sentiero inizialmente si presenta pianeggiante per poi salire in maniera decisa fino ad uscire dal bosco in una zona pianeggiante dove troveremo il piazzale della dismessa cava della Rocca di Perti (palestre di arrampicata in zona).
Da qui, con alcuni saliscendi nel bosco seguendo la traccia di un piccolo sentiero, si arriva in breve tempo al Bric della Croce con uno stupendo panorama che spazia sul litorale fino all’isola della Gallinara, peccato solo per il nastro d’asfalto dell’A10 che disturba un po’ la visione (d’altronde le autostrade ormai le usiamo tutti per comodità)
Prestando ben attenzione al salto vertiginoso posto pochi a pochissima distanza dalla croce (nella foto il mio sorriso nasconde una certa apprensione in quanto sofferente di vertigini) possiamo rispondere all’invito scritto nel libro di vetta e cioè completare la frase Cade la foglia…Elena, continua tu…..
Dal Bric della Croce a Finalborgo
Adesso non ci resta che ritornare a Finalborgo incominciando a scendere per un sentiero non molto agevole a cui si aggiunge la difficoltà iniziale nel trovare i segnavia (comunque non c’è nessuna alternativa alla discesa se non il baratro alla nostra sinistra).
Il (presunto) Grottino del Bric della Croce
Prima di arrivare alla località Cianassi (ampio parcheggio se desideriamo arrivare al Bric della Croce in senso inverso senza passare da Finalborgo) incroceremo una grotta con due aperture: il Grottino del Bric della Croce (non giurerei, però, che questo sia il suo nome…..).
La strada del ritorno con Caterina in posa (…è più forte di me)
A questo punto si può dire che la parte dell’itinerario escursionistico diventa una facile camminata in quanto proseguiremo su di una stradina asfaltata con scorci sul nucleo abitato di Montesordo fino ad arrivare alla chiesa di Nostra Signora di Loreto (più conosciuta come Chiesa dei Cinque Campanili)
Chiesa di Nostra Signora di Loreto (oppure Chiesa dei Cinque Campanili)
La chiesa di Nostra Signora di Loreto venne costruita intorno al 1470 sotto committenza della famiglia dei Del Carretto e posta in un ambiente allora perfettamente rurale.
Essa costituisce uno dei più interessanti esempi di architettura religiosa rinascimentale ligure. I modelli di riferimento possono essere riconosciuti nella Sacrestia vecchia, opera di Brunelleschi per la chiesa di san Lorenzo a Firenze, ma soprattutto nella cappella Portinari in Sant’Eustorgio a Milano.
Osservando i pilastri angolari della chiesa si possono notare le targhe in Pietra di Finale con gli stemmi dei Del Carretto e di Viscontina Adorno, moglie di Giovanni I del Carretto.
Dopo questa piccola disgressione culturale riprendiamo il nostro cammino per abbandonare l’asfalto scendendo, quindi, per una mulattiera che in seguito si trasformerà in strada a fondo cementato.
Arrivati in prossimità dell’agriturismo Ai Cinque Campanili si continua a scendere fino a raggiungere la borgata Sottoripa caratterizzata (purtroppo) da ormai in rovina.
Qui ritroviamo il nostro segnavia VP che in breve ci riporterà al nostro punto d’inizio e cioè in Piazza del Tribunale.
⌈ David Le Breton torna sullo stesso tema di Il mondo a piedi come un camminatore che, anni dopo, torna su un percorso che ha immensamente amato.
Uomo di grande sensibilità e cultura, illuminato interprete del suo tempo, Le Breton raccoglie in queste pagine schizzi paesaggistici, riflessioni e aneddoti sul camminare e sui camminatori, rievoca tradizioni e personaggi storici e ci offre un punto di vista inedito e ispirato su un aspetto insolito del viaggio.
Percorrere sentieri e rotte insolite, sondare foreste e montagne, scalare colline solo per il piacere di ridiscenderle, poter contare solo sulle proprie forze fisiche, esposti di continuo agli stimoli del mondo fuori e dentro se stessi: questo è il camminare, un anacronismo in una contemporaneità che privilegia la velocità, il rendimento, l’efficienza.
Per Le Bretoncamminare è un lungo rito d’iniziazione, una scuola universale, una filosofia dell’esistenza che purifica lo spirito e lo riconduce all’umiltà, un atto naturale e trasparente che restaura la dimensione fisica del rapporto con l’ambiente e ricorda il sentimento della nostra esistenza.⌋
Quando ci si smarrisce, i progetti lasciano posto alle sorprese,
ed è allora, ma solamente allora,
che il viaggio comincia
Nicolas Bouvier ⌋
Da Calvisio alla preistoria (senza perdersi, o quasi)
Se condivido ampiamente le parole di Nicolas Bouvier, e cioè che durante un viaggio le maggiori sorprese avvengono in ciò che non si è programmato (a meno di non essere nel centro dell’Amazzonia), al contrario mi infastidisco non poco quando in un escursione che prevede di andare dal punto A al punto B i segnavia ti ingannano e ti ritrovi al punto C: cioè fuori rotta.
Oggi la tecnologia aiuta a non smarrirsi, ma per una come me che utilizza il GPS al solo scopo di tracciare il percorso da visualizzare in seguito su di una mappa e che all’elettronica preferisce la vecchia e cara carta escursionistica (che non ha bisogno di ricarica per funzionare), il piacere di perdersi può diventare abitudine, quindi, guardando il tracciato dell’itinerario che troverete in seguito, vi prego di non tener conto dei fuori rotta rispetto al tracciato principale.
Calvisio si raggiunge facilmente dall’uscita autostradale di Finale Ligure, quindi proseguendo in direzione Finalborgo si raggiunge in poco tempo il nostro punto di partenza.
Calvisio – chiesa di san Cipriano
Arrivati a Calvisio è possibile parcheggiare nelle vicinanze della chiesa di san Cipriano altrimenti, percorrendo in auto uno stretto viottolo alla sinistra della chiesa ( vicolo Bedina, dove inizia il nostro percorso seguendo il segnavia rombo rosso ) è possibile arrivare fino a Lacremà (Calvisio Vecchio) e parcheggiare nei pressi della vecchia chiesa.
NOTA: I posti auto a Lacremà sono davvero esigui (ne ho contati quattro) e parcheggiare al di fuori dei limiti consentiti si rischia la multa per divieto di parcheggio (sembra che la Polizia Municipale di Calvisio sia molto solerte nel far rispettare le regole).
Zaino in spalla percorriamo via Bedina in ripida salita fino all’abitato di Lacremà dove l’acciotolato presto diventerà sentiero.
L’abitato di Lacremà (o Calvisio Vecchio)
Ad un primo bivio proseguiamo in salita mantenendoci sulla nostra sinistra per arrivare quindi a un secondo bivio che porta al Bric Reseghè all’incirca 2 chilometri e mezzo dalla partenza (la cartina interattiva può essere utile per valutare le distanze).
Un antico riparo
Noi proseguiamo dritti seguendo il segnavia quadrato rosso fino ad arrivare a Camporotondo, luogo ammantato di mistero per la posizione apparentemente isolata e per la costruzione in pietra posta ai suoi margini (forse un semplice ricovero per uomini e animali?).
I ruderi di Camporotondo
A questo punto il segnavia si perde lasciando l’escursionista (cioè la sottoscritta) abbastanza disorientata, finchè con innato senso di orientamento (direi con molta fortuna) ritrovo la direzione giusta da prendere in un comodo sterrato subito dopo aver attraversato il bosco di Camporotondo mantenendoci sulla nostra sinistra, trovando a segnare il percorso un rombo rosso.
Si prosegue con alcuni saliscendi fintanto che un caratteristico presepe posto in una cavità della roccia indica che siamo in prossimità del Ciappo dei Ceci che, insieme al Ciappo delle Conche e quello del Sale, costituisce uno dei siti archeologici con presenza di incisioni rupestri presenti nella zona del finalese.
Ciappo delle Conche
Ed è appunto proseguendo che arriviamo al Ciappo delle Conche, punto conclusivo di questo itinerario (il ritorno, ovviamente, ricalca il percorso d’andata).
Le Ciappe e le loro incisioni rupestri
Il primo studioso che diede una mappatura delle incisioni rupestri del finalese fu Clarence Bicknell nel 1897 ( a lui si deve la scoperta delle incisioni rupestri presenti nella Valle delle Meraviglie del Monte Bego).
Nel 1908 è il geologo Arturo Issel che, pubblicando un censimento delle incisioni rupestri, ne ipotizzò la loro natura preistorica. eppure, ancora oggi, una datazione precisa di queste testimonianze del passato e del loro significato non è certa.
Alcuni archeologi hanno evidenziato un’analogia di questi siti con quello di Panoias (Portogallo settentrionale) dove una grossa roccia presenta coppelle e vasche collegate da canali e dove, in base alla traduzione di alcune frasi incise nella roccia in latino, risalenti al III secolo d.C., hanno portato a ipotizzare che in questi luoghi si officiassero riti di iniziazione, anche cruenti, con sacrifici di animali.
Purtroppo, come si può vedere dalla fotografia seguente, il Ciappo delle Conche attira anche coloro che, ignorando l’importanza storica di queste testimonianze del passato, vogliono lasciare il loro segno per la curiosità degli archeologi di un futuro remoto
Tratto dalla campagna pubblicitaria per l’Amaro Ramazzotti (1985)⌋
Milano (non quella da bere) nei pensieri di una genovese
Nè birra o vino, tanto meno un Amaro Ramazzotti: per una come me alla quale bastano un paio di boeri al rhum per entrare nelle grazie di Bacco, Milano non è per nulla la città glamour degli anni ’80 (Tangentopoli compresa) descritta in uno spot che oggi suona tanto di ridicolo, ma è la metropoli che mi affascina per modernità e cura delle testimonianze del suo passato.
D’altronde, avendo lavorato in Brianza per un tot di anni in una multinazionale svizzera che si occupa di portare persone e cose su e giù negli edifici, un po’ di milanesità è entrata a far parte del mio DNA…….. (il resto è pura genovesità).
Quindi, astemi oppure no, seguitemi in questa succinta descrizione di due siti di questa stupenda (si, ho scritto proprio stupenda) metropoli.
Milano da bere (negli anni'80)
Milano da bere è un’espressione giornalistica, originata da una campagna pubblicitaria che definisce alcuni ambienti sociali della città italiana di Milano durante gli anni 80 del XX secolo.
In questo periodo, la città era assurta a centro di potere in cui si esercitava l’egemonia del Partito Socialista Italiano (PSI) del periodo craxista.
Si trattava di un decennio caratterizzato dalla percezione di benessere diffuso, dal rampantismo arrivista e opulento dei ceti sociali emergenti e dall’immagine alla moda
Testo tratto da Wikipedia
Milano e il suo museo di design
La sede dell’ADI Design Museum è il classico esempio di una struttura industriale dismessa e poi riconvertita in un intelligente progetto museale: dove una volta esisteva il deposito dei tram a cavallo della Società Anonima Omnibus e, dal 1896, centrale elettrica e in seguito impianto di distribuzione dell’elettricità (all’interno dell’area espositiva sono visibili parte delle apparecchiature), sorge oggi il più grande museo d’Europa dedicato al design.
Al suo interno, in maniera permanente, è visibile la collezione del Compasso d’Oro e cioè il premio dedicato al design che sessantasette anni fa (quindi nel 1954…..se non avete voglia di fare conti) fu voluto da Giovanni (Gio) Ponti e che ogni due anni viene assegnato dall’Associazione per il disegno industriale.
Curiosa è la sezione Uno a Uno in cui vengono proposti al visitatore copie di progetti di uno stessa tipologia ma separati dal tempo: così, ad esempio, la presentazione della Fiat 500 del 1959 e quella del 2011 entrambi vincitrici del Compasso d’Oro nei rispettivi anni.
L’allestimento del museo è stato realizzato dagli studi di architettura Migliore+Servetto Architects (da questo studio è nato il progetto e la realizzazione del Blue Line Park, il parco urbano nato sul tracciato di una ferrovia dismessa che collega il quartiere di Haenduae nella città di Busan (Corea del Sud) al centro balneare di Songieong….. se andrete in futuro da quelle parti, adesso sapete chi ha progettato il tutto) e Italo Lupi.
WOW!: avrei potuto anche usare espressioni quali caspita, però, perbacco, cavolo, ****** (quest’ultima volutamente censurata), ma la meraviglia alla vista delle tre torri di CityLife (e di tutto ciò che lì era intorno) mi ha indotto a esprimermi con quel wow!
L’area occupata dalla vecchia Fiera di Milano (1963)
Non che io vada in giro esprimendomi sempre in questa maniera (anzi non sopporto anglicismi quali location, call, lockdown, breafing, mission, fashion, cool, outfit etc…..), tanto meno provengo dal deserto del Kalahari dove è difficile imbattersi in suddette costruzioni, ma la trasformazione di un’area metropolitana, come quella occupata dalla vecchia Fiera, in un progetto di valorizzazione della stessa in chiave ultramoderna (magari fra un centinaio di anni questa modernità sarà essa stessa storia) e polo di attrazione sia per chi vive a Milano, e sia da chi, turista come la sottoscritta, ne è attratta per la valenza architettonica.
CityLife il progetto
Nel 2004 viene indetto una gara internazionale per la riqualificazione della vecchia area fieristico (la prima Fiera risale al 1920) che verrà spostata al nuovo polo di Rho – Pero l’anno seguente.
Il vincitore del concorso internazionale sarà il progetto CityLife.
Nel periodo tra gli anni 2007 – 2008 compreso si procede con la demolizione dei venti padiglioni della vecchia fiera con criteri avanzati dal punto di vista ambientale per salvaguardare le zone limitrofe al cantiere. Inoltre in questa fase si procede al salvataggio degli alberi presenti per essere ripiantati nel parco pubblico della futura area.
Infine loro: un’architetta e due architetti ( chiamateli pure archistar se volete) che con il loro genio creativo hanno dato un’impronta più che visibile al progetto CityLife
3 Archistar per 3 Torri
Zaha Hadid
In alcune interviste veniva descritta nel possedere un carattere molto spigoloso e donna iperattiva, sempre in prima linea a denunciare la misoginia presente nell’ambito professionale come quello della vita di ogni giorno.
Ha firmato progetti in tutto il mondo (Maxxi di Roma, il Galaxy Soho a Pechino, il ponte Sheik Zayed a Abu Dhabi solo per citare alcuni esempi).
Nel 2004 è la prima donna a conseguire il Premio Pritzker (che ricordo essere considerato come il Nobel per l’architettura), a cui segue il Premio Sterling negli anni 2010 e 2011.
⌈ Quando ci si abbandona la mondo senza tetto e senza guscio,
quando si sente fisicamente intorno a se l’infinità dei paesaggi,
quando nulla arresta lo sguardo, da qualsiasi punto cardinale ci si volga,
quando la strada si stende a perdita d’occhio davanti e dietro,
probabilmente ci si sente rinfrancati dal camminare avvolti dal proprio odore,
al quale sembrano ridursi tutte le ricchezze di cui ancora si dispone
Tratto da Il Cammino Immortale di Jean-Christophe Rufin ⌋
Dalla Collina del Dego al Parco dell’Adelasia
Ho più volte accennato nei mei articoli che la Liguria ha un entroterra che offre svariate opportunità a chi abbia il desiderio di camminare nella natura: dalla più volte celebrata Alta Via dei Monti Liguri fino agli innumerevoli sentieri che innervano la zona montuosa o, più semplicemente, quella collinare.
A protezione di questa ricchezza con il tempo sono state istituite in Liguria zone tutelate da specifici regolamenti per la salvaguardia dell’ambiente naturale: l’itinerario che vado a proporvi lega due parchi, quello della Collina del Dego e quello dell’Adelasia, in una bella e facile escursione.
L’itinerario
Per raggiungere Pian dei Siri, punto di partenza del nostro itinerario, da Albisola ci dirigiamo verso il Colle del Giovo, quindi seguiamo la direzione Pontinvrea – Giusvalla e da quest’ultima verso la frazione Girini quindi, percorrendo la strada comunale Girini -Ferriera, dopo la borgata Porri (finalmente) si arriva a Pian dei Siri ( 675 metri) dove è possibile parcheggiare nei pressi di un pannello indicante i percorsi della Collina del Dego.
La Collina del Dego
L’area protetta della Collina del Dego (inclusa in un Sito di Importanza Comunitaria o Sistema Ambientale delle Bormide) confina a sud con la Riserva Naturalistica dell’Adelasia estendendosi per 225 ettari.
La zona collinare culmina sulla cima di Piazza Grande a 830 metri di altezza (qui è collocato un cippo in ricordo della guerra tra le truppe francesi e quelle austriache nell’aprile del 1796. La zona fu anche teatro della guerra partigiana contro i nazi – fascisti durante l’ultimo conflitto mondiale).
Nella Collina del Dego è notevole la copertura boschiva, con estese faggete miste in alcuni tratti con il castagno e rovere. La flora, tipica dell’Appennino, è quella caratteristica del clima fresco e umido (la raccolta dei funghi è regolamentata). Tra la fauna spicca la presenza della salamandra pezzata e del gambero di fiume, mentre tra i mammiferi troviamo il capriolo. L’Avifauna comprende anche il picchio verde e il picchio rosso maggiore.
Il nostro itinerario seguirà il segnavia B1 che, pressoché da subito, si biforcherà essendo un percorso ad anello: noi seguiremo il tracciato sulla nostra sinistra.
NOTA: In questo caso, all’inizio, il sentiero passa in mezzo a un cantiere per il ripristino del terreno dopo gli smottamenti dovuti alle piogge recenti: nei giorni festivi si può liberamente (o quasi) passare in quanto i lavori sono fermi.
All’incirca dopo quaranta minuti di cammino, ma il tempo di percorrenza è sempre un dato soggettivo, si arriva all’area picnic del Boscaiolo da questo punto, tralasciando una piccola deviazione verso la Fontana del Baggio (fonte), proseguiamo verso la cima di Piazza Grande e quindi al pianoro de Il Pilone contraddistinto da un pannello e un tavolo in legno per la sosta.
Lasciamo il segnavia B1 per seguire quello contraddistinto dalla sigla BN (Bormida Natura e cioè un percorso più lungo che inizia da Piana Crixia): da questo punto entriamo nella Riserva naturalistica dell’Adelasia: nel box seguente una mappa della rete escursionistica interna all’area (la mappa la potete scaricare a questo indirizzo).
Adesso il sentiero si presenta con una piacevole discesa su di un letto di foglie e tra i faggi fino all’arrivo a un bivio dove un palo con cartelli segnaletici ci indica la direzione verso Cascina Miera.
Cascina Miera (chi sarà mai quella donna con il berretto rosso?)
Dopo una piacevole sosta non ci resta che ripercorrere all’indietro i nostri passi per raggiungere Pian dei Siri dove abbiamo lasciato il nostro mezzo.
Sono debitrice di Jean-Christophe Rufin per la frase tratta dal suo libro Il Cammino Immortale che avete trovato all’inizio dell’articolo, per cui mi sembra giusto pubblicarne l’anteprima
⌈Con oltre un milione di visitatori dal 2005 ad oggi, Santiago di Compostela è senza ombra di dubbio una delle mete di pellegrinaggio più gettonate dei nostri tempi.
Tra viandanti, mistici, coppiette in scarpe da ginnastica e turisti seduti sui sedili di comodi pullman, il medico e autore di best seller Jean Christophe Rufin affronta il suo personale apprendistato del vuoto: ottocento chilometri da Hendaye, all’estremo sudovest della Francia, fino alla maestosa Cattedrale di San Giacomo.
Un lungo tragitto raccontato con piglio demistificante, ironico, intenso. Tra dettagli concreti, riflessioni storiche e religiose e il desiderio di smascherare gli impostori degli ultimi chilometri, l’autore restituisce al Cammino per antonomasia la sua verità. Si tratta di una verità fatta di organizzazione capillare ed esasperante improvvisazione; di fango, case sbilenche e meravigliose coste battute dalle onde; di pellegrini solitari ingabbiati in una lunga sequenza di mode e tic alla ricerca di se stessi.
È un percorso che può cominciare ovunque, e finire nella piazza dell’Obradoiro o tra le pagine di un libro. Perché anche se la caratteristica del Cammino è far dimenticare in fretta le ragioni per cui si è partiti, la strada continua ad agire su chi l’ha percorsa.
Lo fa lentamente, in maniera sottile e discreta, come è nel suo stile. Un’ alchimia dell’anima che non necessita di spiegazioni. Basta partire, lungo i sentieri o sulla carta poco importa.
Come Rufin ben sa, il Cammino immortale è fatto per chi va alla ricerca di niente.
⌈...Ero sporco, colavo sudore, ero stanco morto e abbastanza malmesso da far girare i passanti.
Ero di nuovo un escursionista
Tratto da Una passeggiata nei boschi di Bill Bryson ⌋
Deiva, un parco per tutte le stagioni
Forse è un’esagerazione la descrizione che Bill Bryson da di se stesso nelle vesti di escursionista – la sua esperienza, descritta in Una passeggiata nei boschi, è quella della traversata dell’Appalachian Trail che, con i suoi 3.400 chilometri, non è propriamente una passeggiata – ma, in effetti, dopo un’escursione abbastanza lunga la sottoscritta si considera molto lontana dall’essere considerata un mazzolino di rose.
In ogni caso l’escursione che sto andando a descrivere pur essendo immensamente più corta di tanti altri Cammini o trekking, richiede un minimo di preparazione per affrontare tratti di terreno accidentato: ma ciò lo descriverò meglio in seguito (vi assicuro, comunque, che non incontreremo nessun ponte tibetano o la richiesta di scalare una cima himalayana).
Foresta della Deiva, alle porte del Sassello
la Foresta della Deiva (inserita nel Parco naturale regionale del Beigua) è all’ingresso di Sassello, cittadina della provincia di Savona meritevole d visita dal punto di vista turistico ma anche gastronomico (come i famosi amaretti del Sassello).
Da Albisola si percorre la strada statale 334 del Giovo; arrivati in cima al Colle del Giovo si svolta a destra, proseguendo oltre la frazione Badani, immediatamente dopo il distributore di benzina posto sulla sinistra, troviamo le indicazioni per la Foresta demaniale della Deiva.
Si arriva in un piazzale di fronte alla casermetta dei Carabinieri forestali dove possiamo parcheggiare la nostra auto.
Da questo punto inizia il sentiero natura del Parco, un percorso ad anello che, nell’ultima parte, riguarderà anche la nostra escursione.
L’itinerario
Ci incamminiamo verso il castello Bellavista (che ritroveremo nell’ultima parte del percorso) per poi seguire le indicazioni verso il Lago dei Gulli (a quest’ultimo itinerario ho precedentemente dedicato un articolo, il link lo troverete alla fine nella sezione Caterina ha scritto anche…).
NOTA: una piccola deviazione verso Casa Ressia ci condurrà all’ononimo rifugio, punto tappa per l’acquisto di generi alimentari o un semplice caffè (aperto solo nei giorni festivi).
Il sentiero è molto piacevole con ampie aperture panoramiche (può capitare di incrociare cavallerizzi e cavalli…..dromedari, quelli no) seguendo il segnavia tratto giallo sormontato da pallina dello stesso colore.
Giunti alla località chiamata Lombrisa, il segnavia da seguire sarà un triangolo giallo rovesciato.
ATTENZIONE
Questa parte del sentiero è indicato per escursionisti esperti.
E’ vietata la percorrenza in condizioni di fondo bagnato o in presenza di neve o ghiaccio.
Non percorribile in caso di allerta meteo di qualsiasi livello
Dopo alcuni chilometri di sentiero (guardate la cartina interattiva per meglio comprendere le distanze) giungiamo a Case Pian d’Erro.
Da questo punto il percorso, indicato con un T gialla rovesciata, si inerpica per arrivare a congiungersi con l’anello del Sentiero Natura della Deiva.
Ora il segnavia da seguire diventa un rettangolo giallo: è la parte conclusiva di questo itinerario poco prima del termine possiamo fare una sosta nell’area attrezzata del castello Bellavista (meritatamente..).
Avendo preso in prestito una frase del libro di Bill Bryson Una passeggiata nei boschi, mi sembra opportuno pubblicare l’anteprima di un libro che ho trovato molto scorrevole e ironico al punto giusto.
⌈ L’Appalachian Trail, che dalla Georgia al Maine taglia quattordici stati americani snodandosi per oltre 3400 chilometri, è il capostipite di tutti i sentieri a lunga percorrenza e dimora di una delle più grandiose foreste della zona temperata del globo.
All’età di quarantaquattro anni Bill Bryson, in compagnia dell’amico Stephen Katz – decisamente sovrappeso e fuori forma – si cimenta nell’impresa di percorrere il leggendario sentiero.
Nessuno di loro ha la minima cognizione delle norme elementari di sopravvivenza nella natura selvaggia, e l’escursione dei due cittadini, abituati a camminare nei civilizzatissimi spazi dei centri commerciali, si svolge all’insegna di una divertita incoscienza, tra spassosi contrattempi, bufere di neve, nugoli di insetti spietati, incontri con animali selvatici e con l’improbabile umanità che popola il sentiero.⌋