⌈ La prova più evidente che esistono altre forme di vita intelligente nell’universo è che nessuna di esse ha mai provato a contattarci
Bill Watterson ⌋
Tanto spazio per essere disabitato?
L’ironica frase di Bill Watterson ha un sottinteso, che è quello di credere nella possibilità di esistenza di altre forme di vita nell’universo (e che gli stessi extraterrestri, guardando la nostra storia fatta in parte di guerre e pregiudizi, preferiscono defilarsi).
A fare da contrappunto alla dichiarazione del fumettista è quella di uno scienziato del calibro di Enrico Fermi (anche se la frase a lui attribuita sembra essere stata estrapolata da un discorso più ampio):
⌈ Se gli extraterrestri esistono in abbondanza, alcune forme di vita avrebbero raggiunto un grado di civiltà tale da avere inventato i viaggi interstellari.
Come mai non sono ancora arrivati fra noi? ⌋
A ben vedere la risposta potrebbe essere la stessa data alla frase di Bill Watterson…..
Eppure, secondo alcuni, gli extraterrestri visitando in passato la nostra cara Terra avrebbero lasciato testimonianze di sè e cioè: cerchi nel grano, piramidi, geoglifi (Nazca) fino allo schiantarsi della loro nave spaziale e conseguente segregazione in basi ultra segrete (vedi Area 51).
Ma se alla fantasia non si può porre dei limiti, la scienza utilizzando i suoi metodi non pone limiti alla scoperta di una possibile forma di vita: per questo motivo sono nati progetti ad hoc quali SETI e messaggi della nostra esistenza come quello lanciato insieme alla sonda Pioneer 10 il 3 marzo 1972.

Sinceramente non so dove sia finito Pioneer 10 (forse venduto come pezzo d’antiquariato al mercato di Tatooine) ma è certo che, oltre al nostro sistema planetario, di mondi ve ne sono a bizzeffe, e vuoi che almeno uno non ospiti una civiltà avanzata?
Di questo ne è convinto l’astronomo statunitense Frank Drake (co – fondatore insieme a Carl Sagan di SETI) a cui si deve la formula matematica, nota come equazione di Drake o formula di Green Bank, calcola il numero di civiltà extraterrestri esistenti nella nostra galassia in grado di comunicare con noi.

Segnali dallo spazio profondo
Immaginiamo per un momento di essere un astronomo di turno in uno dei radiotelescopi utilizzato nel programma SETI: è notte, fa molto caldo (è il giorno di ferragosto del 1977), non abbiamo internet, niente WhatsApp, Instagram o Facebook: solo qualche rivista, magari un libro per riempire le lunghe ore della notte.
Improvvisamente le macchine evidenziano un segnale di forte intensità proveniente al di là del sistema solare, precisamente dalla costellazione del Sagittario, la cui durata è poco più di un minuto.
L’astronomo corre a stampare il tabulato dell’analisi del segnale anomalo, evidenziando la traccia con un grosso Wow!
Naturalmente questa è solo una mia fantasiosa ricostruzione di quella notte: in verità Jerry R. Ehman, l’astronomo di turno presso il radiotelescopio Big Ear dell’Università statale dell’Ohio impiegato nel programma SETI, era molto impegnato nel suo lavoro tanto che, allo stupore di quanto visto, fece subito capolino la razionalità dello scienziato il quale, senza escludere che la causa di quel segnale poteva essere quello inviato da una civiltà tecnologicamente avanzata, non scartava l’ipotesi che esso fosse del tutto naturale.
Da allora quello che storicamente venne chiamato Wow Signal non si ripeté mai più.
Ma qualcosa di analogo è accaduto solo pochi giorni fa e cioè quando gli astronomi addetti al Breakthrough Listen Project, utilizzando il radiotelescopio Parkes posto nel New South Wales in Australia, hanno captato un segnale anomalo proveniente dalla stella Proxima Centauri che dista dal Sole solo 4,2 anni luce (una bazzecola se si possiede il motore a curvatura della nave stellare Enterprise, quella di Star Trek).
Anche in questo caso, però, la cautela è massima tanto che lo stesso SETI osserva che le possibili fonti del segnale potrebbero essere diverse, anche proveniente da uno dei 2700 satelliti orbitanti intorno alla Terra.
Quale linguaggio per comunicare con ET?
La soluzione che trovò Steven Spielberg per comunicare con gli alieni nel film Incontri ravvicinati del terzo tipo è senz’altro molto spettacolare (ma altrettanto chiassosa), eppure nella realtà, e in passato, altri hanno avuto qualche idea per comunicare con gli alieni.
Come, ad esempio, l’astronomo austriaco Joseph Johann von Littrow il quale nel 19° secolo pensò che la cosa migliore fosse quella di scavare enormi trincee nel deserto del Sahara per poi riempirle di acqua e petrolio e dare quindi fuoco al tutto affinché il messaggio potesse essere visto da qualunque alieno di passaggio sulla Terra.
Più seria (e decisamente meno inquinante) fu la scelta di creare un vero e proprio linguaggio basato su formule algebriche creato dal matematico tedesco Hans Freudenthal.
A questo linguaggio venne dato il nome di Lincos e descritto dall’autore stesso nel libro Design of a Language for Cosmic Intercourse, Part 1 (la seconda parte non venne mai scritta per la morte di Hans Freudenthal avvenuta nel 1990).
Per quanto la comunità scientifica abbia in maggior parte accolto in maniera favorevole Lincos, il linguaggio non è mai stato utilizzato per inviare messaggi nello spazio.
A questo punto come non ricordare quello che invece fu inviato dall’osservatorio di Arecibo nel 1974 e rammaricarci del crollo per mancanza di manutenzione di questo storico radiotelescopio.
Per concludere
La distanza, misurata in anni luce tra noi e gli eventuali loro, non è un problema da poco: mettiamo il caso che ET mandi il suo ciao alla velocità della luce e che il suo pianeta disti dalla Terra centinaia se non migliaia di anni luce, per cui la nostra educata risposta al suo ciao impiegherebbe lo stesso tempo per arrivare al pianeta X: in questo lasso temporale può essere che uno delle due civiltà (se non entrambe) si siano estinti per varie cause come, ad esempio, l’impatto con un asteroide (i dinosauri ne sanno qualcosa).
Eppure gli scienziati hanno teorizzato una possibilità per accorciare queste distanze attraverso i wormhole (o tunnel spaziali….ancora Star Trek)
La teoria fu ipotizzata da Albert Einstein e Nathan Rosen nel 1935 utilizzando la Teoria della relatività generale e, quindi, l’esistenza (teorica) dei wormhole.
Tutto qui!
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